Aspettando Powell
Probabilmente nessuno di noi in questo momento vorrebbe trovarsi nei panni di Jerome Powell.
Un uomo che si è trovato a dover gestire gli effetti sull’economia della Pandemia, una situazione completamente nuova, sicuramente non descritta in alcun libro accademico.
Il secondo mandato sarà ancora più difficile per lui.
Si troverà a dover gestire un’inflazione fuori controllo senza far cadere l’economia in recessione.
Un’impresa quasi eroica.
Non sarà per nulla facile, se non impossibile, far tornare l’inflazione ai livelli del 2% senza che sia necessario procedere con rialzi marcati dei tassi, talmente marcati da impattare sulla crescita, ridurre la domanda aggregata e quindi calmierare i prezzi.
Le stime della FED vedono l’inflazione scendere al 2.1% nel 2024 e nello stesso intervallo temporale tassi che possano superare di poco il 2%.
Questo in un contesto in cui il tasso di disoccupazione dovrebbe scendere al 3.5% già quest’anno.
Sembrano proiezioni di difficile realizzazione che implicano che per la prima volta nella sua storia la FED sarebbe ben contenta di convivere con tassi reali negativi per (almeno) due anni.
Ma ragionando al contrario e ammettendo che la FED non voglia convivere con tassi reali negativi per i prossimi 24 mesi, allora sarebbe costretta ad alzare i tassi molto più velocemente.
Ma questo implicherebbe un rallentamento macro molto forte, difficilmente compatibile con un tasso di disoccupazione al 3.5%.
Insomma… una coperta troppo corta.
Se ti copri da una parte ti scopri dall’altra e viceversa.
Cosa dobbiamo aspettarci, quindi?
Sicuramente che annunci un primo rialzo a marzo seguito da altri due rialzi entro la fine dell’anno.
Ma, ormai, in molti ritengono che questo scenario sia da rivedere e che siano necessari almeno 4 rialzi nel 2022, se non 5!
Non manca poi chi, come Goldman Sachs, parli di un ritocco al rialzo in ogni riunione della FED.
È facile chiamare al rialzo i tassi, ma poi bisogna fare i conti con gli effetti recessivi di tali scelte.
Risulterebbe impossibile farli coesistere con un tasso di disoccupazione al 3.5%.
È probabile quindi che la FED unirà il rialzo dei tassi con la riduzione del proprio bilancio.
Tale operazione avrebbe anch’essa effetti restrittivi (impatterebbe sulla parte a lunga della curva) ma è più facilmente gestibile.
Rispetto ad un processo di rialzi dei tassi, la riduzione del bilancio puo’ essere calibrata, gestita nel tempo in funzione del contesto.
Essa assicura molta più flessibilità e consente alla FED di gestire e controllare tutti i tassi della curve a cui i mercati fanno sempre riferimento.
Ciò che molti analisti si aspettano è che la FED si mostrerà decisa a rialzare.
Parlerà di 3 rialzi ma aprirà la porta ad ulteriori rialzi, “se necessario”.
Metterà poi sul piatto il tema del suo bilancio, che verrà implementato e gestito “in relazione all’evolversi della situazione macro”.
Insomma il messaggio che vorrà trasmettere sarà quello di una FED decisa ma flessibile, capace quindi di gestire in modo ottimale l’equilibrio tra crescita e inflazione e mercati finanziari.
La parola “flessibilità” sarà la parola magica con cui Powell potrà assicurarsi il consensus del mercato.
Non ci resta , quindi, che confidare sull’abilità retorica e tecnica di Powell.